Descrizione
Di impianto cinquecentesco, l’ex opificio è sito nell’antico borgo Valgobbia con una storia strettamente legata allo sviluppo dell’industria nella seconda metà dell’Ottocento.
La Valgobbia, che prende il nome dal torrente Gobbia che la attraversa scendendo da Lumezzane, era una zona di una certa importanza per il transito.
Dal 1680 lo stabile risultò essere di proprietà della famiglia Bailo, noti fonditori saretini.
Alla metà del secolo successivo la struttura era in grado di affinare la ghisa proveniente dai forni fusori della valle per predisporla alla lavorazione al maglio.
Dal 1889 al 1984 si incaricò della gestione la famiglia artigiana locale dei Sanzogni specializzandosi nella produzione di attrezzi agricoli, in particolare coltri, versoi e vomeri per gli aratri. È in questo secolo che cominciarono a giungere alla fucina non più le ghise, ma cerchioni di ruote di treno e parti di rotaie o billette da ferriere locali.
Nel 1984 l’opificio terminò la sua attività, subendo un rapido processo di degrado e l’Amministrazione comunale di Sarezzo decise di mettere al sicuro gli attrezzi esistenti. Solo i magli, le ruote, i forni e le macchine più pesanti restarono nell’edificio, che il Comune acquistò avviando un progetto di restauro conservativo dell’edificio e dei macchinari, dando l’avvio, nel 2001, ai successivi interventi di allestimento museale.
Cuore del museo è la sala in cui troneggiano i tre poderosi magli, macchine simili nella struttura ma diverse per rendimento e funzioni, restaurate nel 2013. Sono inoltre esposti al pubblico attrezzi utilizzati dai forgiatori, la cui identificazione e ricollocazione sono state possibili grazie alle preziose testimonianze fornite dagli ex lavoranti, e la cui campagna catalografica ha prodotto oltre 1.000 schede corredate da 1.450 immagini, consultabili accedendo al sito web della Regione Lombardia.
All’esterno è visibile il condotto che convogliava le acque e le ruote idrauliche che animavano i pesanti magli.
Al primo piano il percorso si integra con l’esposizione della raccolta privata di Andrea Pellegrini, donata nel 2004 e successivamente trasferita qui dalla sua sede originaria, costituita da oltre 200 pezzi risalenti al XX secolo, diversi per tipologia e uso, tra cui compassi, seghetti, pinze e contenitori in vetro.
Il Museo costituisce il primo importante tassello per chi salendo da Brescia intenda scoprire la secolare tradizione legata alla Via del Ferro e delle Miniere, grazie anche alle testimonianze di coloro che vi hanno lavorato: “...lavoravamo in tre al maglio. C’era il “màister” al maglio, il “braschì”, cioè il “piccolo”, che lavorava alla “pèrtega” per dare acqua alle ruote e fare andare il maglio...il “màister” dava i comandi al “braschì”: se abbassava la testa il ragazzo abbassava la “pèrtega” e il maglio rallentava; se dava uno scatto indietro con la testa, il ragazzo alzava tutta la “pèrtega” e il maglio batteva forte; se scuoteva la testa come per dire di no, voleva dire che il maglio doveva essere fermato...”